Premi invio, anzi no!

comandi_dos_senza_invio

Le spiegazioni di questo problema possono essere tante: incapacità di fare un’analisi, ignoranza, scarsa voglia di capire, a cui si aggiunge l’assoluta incapacità di esprimersi in maniera corretta. Non metto in dubbio che venga riscontrato un problema, ma non è possibile scrivere una cosa del genere senza capire che si rischia di fare una figura da imbecille. Inoltre sembra che solo io mi sia accorto della cosa, per cui posso pensare che oltre alla incapacità di esprimersi in maniera corretta, sia molto diffusa l’incapacità di comprendere un testo scritto.

ArthurSchopenhauer
“Un uomo intelligente costretto a vivere insieme a degli sciocchi assomiglia a colui che ha un orologio che va bene in una città le cui torri hanno tutte orologi che vanno male. Lui solo ha l’ora giusta: ma a che gli serve? Tutta la città si regola secondo gli orologi cittadini sbagliati, persino coloro i quali sanno che soltanto il suo orologio indica l’ora vera”

Arthur Schopenhauer.

Non è certo quanto io sia intelligente, può darsi che anche il mio orologio porti un po’ male, ma non solo devo prendere tristemente atto del livello delle persone che mi circondano, e di un generale appiattimento verso il basso. Ammesso anche che una persona possa prendere una cantonata e scrivere una fesseria, ma se le persone che leggono in copia non si affrettano a chiedere una precisazione vuol dire che per loro va tutto bene, tra l’altro in un ambiente che si ritiene di elevato livello professionale.
Insomma io mi trovo in mezzo a persone così, ci devo lavorare; quelli che dovrebbero esprimere dei giudizi su di me o sono così o notano nulla di strano, e non so quale è la cosa peggiore.

Se li voti sei un coglione

La politica italiana si è distinta negli ultimi anni per grandi novità, differenziandosi dal passato per i toni e il modo di comunicare, e tali modalità sono state trasferite nella campagna elettorale per le elezioni politiche 2013. Malgrado sia passato un sacco di tempo non ho mai avuto tempo per commentare questi metodi di comunicazione e questo discorso potrebbe sembrare capitato fuori tempo massimo, ma vale la pena spenderci due parole perché è una questione che è destinata a ripetersi, forse addirittura tra pochi mesi. In ogni caso si tratta di una puntualizzazione che mi ero ripromesso di fare prima o poi e adesso trovo l’occasione.
Se li voti sei un coglione!Eccovi quindi un esempio di comunicazione diffusa su Facebook da uno dei tanti attivisti di uno dei maggiori movimenti politici di nuova diffusione: analizziamo i punti che ho individuato.
(1) Lo commento alla fine.
(2) L’immagine condivisa è originata da una pagina FB di un gruppo che si definisce “Nazionalisti Italiani”. Analizzando le loro pagine intuisco subito che si tratta di persone che muovono le loro azioni da ideali politici che non hanno nulla a che vedere con i miei (tanto per usare un eufemismo): ognuno la può pensare come vuole, ma si tratta di una brutta caduta di stile per l’attivista in questione che ha condiviso quest’immagine.
(3) Riguardo il testo: “Ci hanno ridotto in povertà e senza lavoro”, riferendosi ai noti personaggi illustrati nell’immagine. Il punto è che io conosco personalmente l’attivista in questione; non è ridotto in povertà, ha un posto di lavoro fisso. Forse spera di guadagnare consenso per il suo movimento con i guai altrui? In ogni caso un’ulteriore caduta di stile nella comunicazione dell’attivista. “Ci impongono di sacrificare la nostra vita e le nostre famiglie… per cosa?”: sinceramente questa frase non la capisco: cosa significa sacrificare le nostre vite e le nostre famiglie? Non credo che nessuno delle persone ritratte abbia mai proposto un olocausto; si tratta di una frase qualunque messa lì a caso? Vabbé continuiamo… “per mantenere i loro vizi e privilegi e delle cricche che li appoggiano”. Credo proprio che alcune delle persone ritratte non hanno bisogno dei nostri soldi per mantenere “vizi e privilegi”, altri sono interessati al potere più che a “vizi e privilegi”, e un po’ tutti sono convinti di aver fatto e fare il bene altrui. Di ciò sarebbe bene discuterne in maniera approfondita valutando il ruolo che hanno avuto i vari personaggi che si sono susseguiti sulla scena politica, e magari trovando spazio per un’autocritica: in fondo siamo noi i responsabili di tutto. La frase invece termina con “merde!”. Nessun contenuto, nessun ragionamento, nessun distinguo, nessuna autocritica: troppo facile e troppo comodo.
(4) La frase finale “Se li voti sei un coglione!” arriva all’offesa per chi legge. La comunicazione non può arrivare a questo punto.
Ritorniamo adesso a:
(1) Dall’immagine dell’attivista si capisce che abbiamo a che fare con una persona giovane, che tiene a mostrarsi in giacca e cravatta perché vuole apparire al meglio di sé e mostrarsi come una figura rassicurante e professionale. Ne ho oscurato i connotati e il nome; non ce ne sarebbe stata la necessità, il post è stato pubblicato su una piattaforma pubblica, e tra l’altro all’epoca gli feci presente che il post non era appropriato e che sarebbe stato meglio toglierlo, ma non l’ha tolto. Quindi potrei mettere benissimo la sua faccia. Non lo faccio, non si sa mai, meglio evitare. Immancabile il simbolo riportato in questo caso in alto a sinistra, che identifica in maniera esatta l’orientamento e l’origine del post.

Sarebbe stato interessante discutere di politica, ma non in questi termini. Espressioni di questo tipo mi hanno definitivamente portato a nutrire una forte antipatia (che comunque già covavo) nei confronti di questi movimenti.

Il lavoro del matematico

Il problema di definire quali sbocchi lavorativi può avere una laurea in matematica si può sintetizzare con una battuta che gira su Internet e che ho qui adattata:

Trova l’intruso tra:
a) Una laurea in medicina
b) Una laurea in ingegneria
c) Una laurea in matematica
d) Una pizza formato gigante

La risposta è c, perché solo con a, b e d puoi sfamare una famiglia di quattro persone.

Per esempio un laureato in medicina farà quasi certamente il medico, ci sarà qualcuno che si occuperà di insegnamento o ricerca, magari come seconda attività, ma possiamo affermare che a questo titolo di studio corrisponde una ben definita professione.

Lo stesso vale per il laureato in ingegneria, che potrebbe anche orientarsi verso l’insegnamento o a tante altre cose, ma la sua professione consisterà nel costruire edifici, ponti, strade; sarà un ingegnere.

Un laureato in matematica può anch’esso orientarsi verso la ricerca o l’insegnamento, ma in realtà qual è il suo mestiere? Quale professione si può associare a questo titolo di studio? Il quesito è spiazzante perché si suppone una volta uscito dall’università il matematico insegni matematica, e ciò mette in evidenza il fatto che questa laurea non è una laurea come le altre perché non conduce a un “mestiere”. Si potrebbe pensare il motivo di ciò sia il fatto che la matematica è un’attività inutile dal punto di vista pratico, mentre invece non è questo il motivo.

Per fare il lavoro del medico per legge è necessario aver studiato medicina, altrimenti per legge non è possibile visitare malati e prescrivere cure. Così pure non si può costruire un edificio senza che un tecnico con i requisiti di legge firmi un progetto.

Quindi in primo luogo i laureati in queste e in molte altre discipline possono iscriversi ad un albo professionale ed inoltre la legge impone che solo gli iscritti a questi albi possono svolgere determinate attività.

Il motivo non è quindi che la matematica sia una disciplina inutile, ma che chiunque, al contrario di altri lavori, può fare il lavoro che dovrebbe essere di specifica competenza del matematico: la legge non prevede che alcune cose siano “math proof”, verificate cioè da uno specialista iscritto all’albo.

Ma qual è il lavoro specifico del matematico? La competenza che contraddistingue un matematico è essenzialmente la capacità di ragionamenti validi. Conosce tutti i tipi di ragionamento (induzione logiche), una serie di tecniche che gli permettono di affermare che le conclusioni a cui giunge sono corrette, per esempio è capace di ragionare per assurdo: di cosa si tratta? Negando la conclusione a cui si vuole giungere si cerca una contraddizione con una delle ipotesi, si conclude che la conclusione è verificata. Per esempio vogliamo dimostrare che i numeri sono infiniti. Enumerarli tutti non è possibile, quindi supponiamo che i numeri siano in quantità finita. Questo genera nei più un rifiuto: perché affermare che siano in numero finito se vogliamo dimostrare che sono infiniti? Si tratta solo di una tecnica di ragionamento.
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Se i numeri sono in quantità finita, e il più grande, è, per esempio, 100000000000000000000000 o qualunque altro. Ma ciò vorrebbe dire che non si può sommare 1 a questo numero perché si otterrebbe un numero maggiore del numero più grande!

Siccome sappiamo che è sempre possibile sommare 1 ad un qualunque numero la nostra ipotesi per assurdo è sbagliata: non è vero che i numeri sono in quantità finita, cioè i numeri sono infiniti.

È inoltre facile per un matematico comprendere che, sebbene “se 2+2=3 allora 0=1” è una frase vera, 2+2 non fa 3 e 0 non è 1.

Insomma un matematico oltre ad avere uno spiccato gusto per il paradosso, come si può capire da questo post, conosce una serie di tecniche che gli consentono di verificare se un’affermazione è corretta o meno: ma solo il matematico? Certamente no, chiunque può studiare questi argomenti, come chiunque può leggere un manuale di medicina o un libro di teoria delle costruzioni, ma andreste da queste persone a farvi curare o farvi costruire la casa? Credo proprio di no, anche perché la legge non lo consente. Eppure ascoltate ragionamenti fatti da chiunque, non “math proof” e li prendete per buoni.
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Non esiste una figura di un “verificatore” dei ragionamenti, con tanto di albo e requisiti selettivi per essere ammessi. Si pensi al vantaggio per un autore poter esibire nei suoi saggi e nei suoi articoli un bollino “logicamente testato”, una garanzia di qualità che a sarà un vanto esibire. Senza contare i discorsi dei politici: in genere sembra che dicano sempre cose corrette; in questo modo dovrebbero o adeguarsi a ragionamenti logici o perdere credibilità. In alcuni casi il bollino dovrebbe essere obbligatorio per legge, per fornire garanzia su problematiche delicate: si avrebbe lo strumento per capire se l’interlocutore è una persona affidabile o solo un venditore di tappeti. Poter distinguere chi cerca di dibattere realmente su un argomento e chi invece cerca di convincere con slogan o giochi di parole, i professionisti della supercazzola.

Il vero mestiere del matematico è quindi questo, un mestiere che, malgrado sia necessario, non esiste, almeno per ora.

C’era una volta il Totocalcio

C’era una volta il Totocalcio, 13 partite; ciascuna poteva vedere la vittoria della prima o della seconda squadra o il pareggio. Si dovevano mettere insieme una sequenza di 1, 2 e X per un totale di 1.594.323 combinazioni, di cui una vincente e 26 utili ad una vincita di seconda categoria.
Ma il Totocalcio non era solo questo; era la folla alle ricevitorie il sabato, erano le discussioni sui pronostici, le domeniche alla radio.schedina

E si giocava, si giocavano molti soldi anche perché all’epoca c’era il Totocalcio e il Lotto e non c’era altro. Credo che sia continuato così almeno fino agli anni ’90 del secolo scorso, poi hanno introdotto i centri scommesse, il Superenalotto, i Gratta e Vinci, una varietà enorme di modi di buttare i soldi. Variando e ampliando l’offerta si raggiungeva un pubblico più vasto, e quindi maggiori scommesse anche se distribuite in maniera più varia.
La conseguenza è stata la perdita della centralità del Totocalcio, minori scommesse, montepremi più basso e di conseguenza ulteriore perdita di interesse.
Da tredici poi i risultati da indovinare sono stati portati a 14, per un totale di 4.782.969 possibili combinazioni.

Trasversalmente a questa storia c’è la ricerca nella sistemistica, che aveva lo scopo di combinare nella maniera più efficiente i segni 1, 2 e X, le statistiche e lo sviluppo di software che dalla metà degli anni ’80 in avanti sfornavano schedine filtrando i sistemi integrali con logiche complesse ma solo fino ad un certo punto ragionevolmente efficaci.
Lasciando perdere quindi questa premessa, parliamo di probabilità di un evento. Il concetto di probabilità non è definito univocamente; si sceglie di volta in volta la definizione più adatta al contesto del problema. Tra le varie definizioni c’è ne è una alquanto spiazzante, dal momento che non sembra avere nessuna giustificazione matematica, ma che al contrario risulta molto apprezzata ed utile in diversi contesti.

La probabilità di un evento A viene definito a partire da come si scommette sull’evento:

P(A) :=la cifra che si è disposti a scommettere al fine di ottenere 1

cioè se gioco la ricompensa per la scommessa vinta (il payoff) è 1 euro la probabilità è la somma che si è disposti a puntare.
Nel caso del Totocalcio il payoff non è fisso, ma dipende da quanto e come hanno giocato tutti gli altri che hanno partecipato alla scommessa. Prendiamo come riferimento un gioco ideale in cui si può scommettere una quota c su un evento A o sul suo reciproco \bar{A}, tra gli n scommettitori h punteranno su A e k=n-h su \bar{A}. Possono accadere due cose:

  1. si verifica A: il montepremi che in totale vale n c viene diviso tra gli h vincitori a cui vanno delle quote di cn/h ciascuno, ai k perdenti non tocca nulla;
  2. si verifica \bar{A}, il montepremi si divide tra i k vincitori a cui vanno delle quote di cn/k.

Dalla definizione di probabilità, se p=P(A) allora se gioco una quota p e vinco ottengo 1, e quindi se gioco c p e vinco ottengo c; si conclude che se gioco c ottengo c/p.

D’altra parte abbiamo detto dalle regole del gioco, puntando una quota c in caso di vittoria ottengo cn/h. Ciò significa che c/p=cn/h e quindi p=h/n.

Si conclude quindi che in questo tipo di gioco, e più in generale nel gioco del Totocalcio, la probabilità di un evento, e in particolare la probabilità di ognuno dei segni è, in base alla definizione di probabilità che abbiamo dato, pari alla frequenza con cui tale segno è giocato!
Dal momento che sono disponibili sul sito della SISAL le statistiche sulle giocate in realtime, prima quindi che vangano chiuse le scommesse, è possibile avere una stima della probabilità di un risultato prima ed orientare il modo con cui si gioca.

Per quanto mi riguarda la cosa appare interessante anche se completamente inutile in quanto non gioco al Totocalcio né ad alcun altro tipo di scommesse.

I fantastici Alphabots

Non si può dire che viviamo in un epoca dove scarseggia la fantasia: ormai le case editrici che si occupano di collezionismo si inventano di tutto. In particolare la Edibas, che non si limita a produrre serie di successo ispirate a personaggi TV, ma inventa delle vere e proprie saghe di grande successo, come i classici Dragonix fino agli ultimi Alphabots, prodotti in varie versioni: “In The Darkness”, “Galaxy” fino alle ultime fantastiche “Fluo Metal”.

DSC00401
Vengono vendute delle bustine al cui interno è presente un personaggio, per un totale di 36, la cui particolarità è di avere la forma di una lettera dell’alfabeto o di una cifra numerica.

All’occorrenza hanno la possibilità di trasformarsi mediante snodature personaggi “robotici”.
La De Agostini non è da meno e produce anch’essa serie di successo, come i recenti “Kamaleonti & co.”, una serie di 22 camaleonti che riproducono le fattezze di altrettante specie di camaleonti.
Non mancano per tutte queste serie un sito dove si può interagire con i personaggi trovati nelle bustine con giochi semplici tecnologia flash e schede su ciascun personaggio.
Insomma ogni giorno un vero spasso, ma a parte il divertimento poniamoci anche il quesito: è possibile completare queste collezioni? Quanto ci vuole per avere tutti i personaggi di una serie?
Per esempio, nel caso degli Alphabots, che in totale sono 36, quanti bustine dovrò comprare? Se si è estremamente fortunati si riesce a completare la collezione comprando appena 36 bustine (come vedremo bisogna essere veramente fortunati per riuscirci), ma non c’è limite al numero di bustine che si dovranno compare nel caso si sia sfortunati: 50? 100? 200? 2000? La risposta è che non esiste alcun limite, si potrebbe continuare indefinitamente a comprarne senza successo.

DSC00400
Se l’uscita di uno qualunque dei personaggi ha la stessa probabilità degli altri, la probabilità per ciascuno di loro di uscire da un pacchetto è 1/36=2,8% (per la definizione classica c’è una probabilità favorevole su 36 totali). Esiste la possibilità abbastanza remota che escano 36 pacchetti diversi di fila e la sua probabilità è
1 \cdot \frac{35}{36} \cdot \frac{34}{36} \cdot \ldots \cdot \frac{1}{36} = 0,00000000000035 \%
si tratta di una eventualità sinceramente poco probabile, di conseguenza sarà alta la probabilità di dover comprare più bustine, quante però non è possibile saperlo, il numero di bustine da comprare per completare la serie dipende dal caso, è ciò che si chiama variabile casuale, ed è una quantità non valutabile a priori.

Ci possiamo però porre un problema più generico: quanto devo aspettare in media per avere tutti gli Alphabots: preso un gruppo di collezionisti che collezionano contemporaneamente questi personaggi qualcuno terminerà la sua collezione prima e qualcuno dopo, quanti ne acquisteranno in media? Se riusciamo a esprimere la probabilità della variabile casuale prima definita la sua media è data da una semplice formula matematica; ma andiamo per gradi.

In primo luogo risolviamo un quesito connesso, che intuitivamente ha una soluzione abbastanza immediata: quante bustine dovrà dovranno comprare in media prima che esca uno dei particolari personaggi, per esempio la A? La probabilità di uscita della A è identica a quella di qualunque altro personaggio e vale p=1/36. La probabilità che esca al primo tentativo è p_1=p mentre probabilità che non esca al primo tentativo è q_1=1-p.

La probabilità invece che esca al secondo tentativo è p_2 = q_1 \cdot p = (1-p) \cdot p , mentre la probabilità che non esca è q_2=q_1 \cdot (1-p) =(1-p)^2 e così via. In generale la probabilità che esca all’n-esimo tentativo corrisponde alla probabilità che non esca nei n-1 tentativi precedenti ed esca nell’n-esimo, cioè p_n = p \cdot q^{n-1}.

La media di una variabile casuale si calcola con la seguente formula
\sum_{n=1}^\infty {n\,p^n} = \sum_{n=1}^\infty { n\,p\,q^{n-1} } = p \sum_{n=1}^\infty { n\,q^{n-1} } = p \sum_{n=1}^\infty { \frac{d}{d q} q^n } = p \frac{d}{d q} \frac{1}{1 - q} = p \frac{1}{ (1 - q)^2}= \frac{1}{p}

In generale quindi il tempo medio di attesa per un elemento è dato dall’inverso della sua probabilità.
Ritorniamo al quesito iniziale: quanto tempo impiegheremo per ottenere tutti i gli Alphabots?
Con il primo acquisto otteniamo il primo Alphabots (T_1=1), quanti acquisti dobbiamo fare per ottenerne uno diverso dal primo? I casi favorevoli sono i 35 Alphabots rimanenti su 36 totali, la probabilità sarà p_2=35/36 e di conseguenza il tempo di attesa sarà T_2=36/35, in totale T_1+T_2=1+35/36.

In generale, se ho già collezionato n Alphabots distinti, la probabilità che al prossimo acquisto ne esca uno nuovo è p_{n+1}=\frac{36-n}{36}, e il suo tempo di attesa è T_{n+1}=\frac{36}{36-n}, per un tempo totale di T_1+T_2+...+T_{n+1}=1+\frac{36}{35}+\frac{36}{34}+...+\frac{36}{36-n}=\sum_{k=0}^n \frac{36}{36-k}=36 \sum_{k=0}^n \frac{1}{36-k}.
Per tutti e 36 i personaggi si dovrà aspettare in media: T_1+T_2+...+T_{36}=1+\frac{36}{35}+\frac{36}{34}+...+36=114,28. Ciò significa che per completare tutta la collezione di 36 elementi se ne dovranno comprare in media almeno 115.

Il problema è sbagliato ma nessuno ci crede

1.360.800.000_EURO-Sbagliato



Questo è un caso veramente interessante e significativo che circola da un bel po’ di tempo e lo ripropongo qui in forma di problema da scuola elementare per permettere una completa e universale comprensione.
Prendete il quaderno a quadretti e dividete la pagina in due parti: calcolo e svolgimento. Dal momento che abbiamo deciso di svolgere questo problema in forma elementare non sarà possibile usare la calcolatrice! Il problema si compone in due parti, la prima si può sintetizzare in questi termini:

                                          Problema
Se ogni parlamentare guadagna 25.000 euro al mese, quanto guadagneranno tutti i 945
parlamentari al mese? E quanto in un anno?
         Svolgimento               Calcolo                             

  25000 x 945 = 23625000          25000 x
                                                945 =
                                          ------------
                                            125000
                                          100000=
                                        225000=
                                      ------------
                                        23625000

  23625000 x 12 = 283500000     23625000 x
                                                      12 =
                                              ------------
                                              47250000
                                            23625000=
                                            ------------
                                            283500000

                                    Risposta
I parlamentari guadagnano 23625000 euro al mese, cioè 283500000 euro l'anno.

In una anno, senza alcun dubbio i parlamentari guadagnano 283,5 milioni di euro.
Leggiamo invece che riucendo le spese per i parlamentari si risparmierebbero 1.380,8 milioni: cioè, bho? Come posso spiegare…, anzi la cosa non si può spiegare: è come se dicessi che se spendo 1 posso risparmare 5!
È chiaro che c’è qualcosa che non va, ma cosa? Il calcolo è quello, e allora come è possibile? Io non ho alcuna risposta al riguardo, posso solo fare i calcolo. A questo punto facciamo anche il secondo punto del problema.

                                          Problema
Se ogni parlamentare guadagna 10.000 euro al mese, quanto guadagneranno tutti i 945
parlamentari al mese? E quanto in un anno?
         Svolgimento               Calcolo                             

  10000 x 945 = 9450000             10000 x
                                                  945 =
                                            ------------
                                               50000
                                             40000=
                                            90000=
                                           ------------
                                            9450000

  9450000 x 12 = 113400000        9450000 x                
                                                      12 =
                                              ------------
                                              18900000
                                              9450000=
                                              ------------
                                             113400000

                                               Risposta
I parlamentari guadagnano 9450000 euro al mese, cioè 113400000 euro l'anno.

Ecco l’errore: 113.400.000 non è il risparmio mensile, ma la spesa annua, che tra l’altro è già stato moltiplicato per 12, e che adesso (erroneamente) moltiplicato nuovamente per 12 fa appunto 1.360,8 milioni. Questa cifra rappresenta la spesa per i deputati nel corso di dodici anni, nel caso guadagnassero 10.000 euro mensili, e non il risparmio annuale.
Il risparmio in realtà è 283,5 – 113,4 = 170,1 milioni.
Tra 1.360,8 milioni e 170,1 milioni c’è una bella differenza! Chi ha pubblicato quei calcoli ha sbagliato, e fin qui non c’è niente di male: un problema si può anche sbagliare.
Questo messaggio circola già da tempo, e mi è capitato di segnalare l’errore, ma dalle risposte che ottengo è di sottovalutazione dell’importanza di un risultato corretto. Ovviamente io non condivido: quanti soldi servirebbero per risanare lo Stato? A cosa servirebbere ridurre le spese per il parlamento? Va bene risparmiare, ma questa proposta equivale a consigliare ad un malato che avrebbe bisogno di essere operato di lavarsi la faccia. Ovviamente lavarsi è giusto, ma in casi gravi servirebbe un’idea effettivamente utile.
Eppure l’idea di risolvere tutto con una serie di iniziative infondate sembra avere un certo seguito negli ultimi tempi. Non mi riferisco semplicemente a questo problema sbagliato, ma a tutte e ideologie che si basano molto su stereotipi e chiacchiere e poco su calcolo e razionalità. Su questa linea si trovano le ideologie che hanno le loro fondamenta in una suddivisione della popolazione in due categorie: i “noi” e i “loro”. I “noi” sono quelli buoni e i “loro” i responsabili di tutti i problemi, in poche parole sono i cattivi.
Non è un’idea recente, in effetti è storia vecchia, già vissuta e ben nota, e che riesce ancora a fare la fortuna politica dei gruppi e persone che si fanno portatori di un tale modo di ragionare.
Il motivo di tanto successo è la possibilità per chi abbraccia questa ideologia di una completa autoassoluzione: le colpe e i problemi sono sempre altrove, negli altri, i “loro”. I “noi” non hanno nessuna responsabilità sono sempre le vittime, quelli che subiscono.
Invece io sono dell’idea che quando le cose vanno male bisogna fare in primo luogo autocritica, capire in cosa si è sbagliato. Non vi piacciono i politici? Ma siamo noi che li abbiamo votati, li abbiamo voluti, ci è convenuto scegliere loro e non altro per un motivo o un altro e adesso siamo di fornite ad una degenerazione della politica: ebbene, è colpa nostra, perché i “noi” e i “loro” in realtà sono la stessa cosa, sono uno l’immagine speculare dell’altro, e nessuno dei due ha modo di esistere senza l’altro.

Scelta e convenienza: dalla pizza a tutto il resto

Compiere una scelta è a volte molto più complicato di quanto si possa immaginare, e l’esito lascia aperti dei dubbi a cui è difficile dare risposta. Quale è la scelta più conveniente da compiere in ciascuna situazione? tale scelta corrisponde a ciò che può sembrarci più conveniente dal punto di vista personale o si tratta solo di una convenienza relativa, imposta dal contesto in cui si compie? Quindi le nostre azioni sono frutto della nostra volontà oppure determinate da chi ha la possibilità di creare il contesto di regole entro le quali si sceglie?
Il problema non è molto chiaro, per cui è meglio presentare un esempio.
Supponiamo di trovarci con degli amici a mangiare una pizza: la regola imposta dal locale prevede che si paghi “alla romana”, ovvero si somma il totale e si divide per quanti siedono a tavola.
Se non fosse per quest’ultima postilla ognuno sceglierebbe la pizza che gli piace di più o sarebbe libero, al fine di risparmiare, di prendere il gusto più semplice: in ogni caso pagherebbe quanto consumato.
Nel nostro caso invece chi sceglie una pizza dal prezzo più basso rischia di pagare più di quanto consumato se gli altri dovessero chiedere più costosa, caricando il costo sugli altri.
Sceglieranno tutti la pizza meno costosa oppure no? In ogni caso cosa sarà più conveniente scegliere?
Semplifichiamo il problema supponendo al tavolo si siedano solo due persone (che chiameremo A e B) e che le pizze disponibili siano solo di due tipi, una classica margherita da 5 euro e la capricciosa da 7 euro.
Le possibili scelte sono le seguenti:
– A e B scelgono la margherita: entrambi pagano 5 euro per una pizza da 5 euro, il bilancio è per entrambi zero.
– A e B scelgono la capricciosa: entrambi pagano 7 euro per una pizza da 7 euro, il bilancio è per entrambi zero.
– A prende una margherita e B una capricciosa: pagano entrambi 6 euro ma A paga 1 euro in più rispetto a quanto consumato, mentre B paga 1 euro in meno. Il bilancio è -1 per A e 1 per B.
– A prende una capricciosa e B una margherita: la situazione è simmetrica rispetto alla precedente: il bilancio è 1 per A e -1 per B.

La situazione si può sintetizzare mediante la seguente tabella:

B prende una margherita B prende una capricciosa
A prende la margherita (0, 0) (-1, 1)
A prende la capricciosa (1, -1) (0, 0)

I più preparati possono riconoscere in questo problema una variante del dilemma del prigioniero, ma qui è stata “inventata” una formulazione alternativa più “simpatica”, per il piacere di risultare comunque originali. Per chi invece non conoscesse l’argomento sottolineiamo che, benché sembri un argomento faceto, stiamo parlando di una disciplina seria, nota come “Teoria de Giochi” che ha ampie applicazioni in campo economico, nelle scienze sociali e in biologia, e che ha fruttato anche dei premi Nobel.
I due si siedono al tavolo e nel momento di ordinare A pensa “mi converrà scegliere la margherita? Potrebbe convenire se anche B fa lo stesso, altrimenti rischio di rimetterci”. Nello stesso momento anche B penserà lo stesso. La convenienza della scelta dipende anche dalla scelta dell’altro: potranno contare su un reciproco e tacito accordo oppure no? Nel momento di scegliere A arriverà alla conclusione che “se B prende la margherita a me conviene prendere la capricciosa: pagherò 6 euro per una pizza da 7, ma se dovesse scegliere la capricciosa non posso scegliere la margherita perché pagherei 6 euro, per una margherita che ne costa 5, perciò prendo la capricciosa”.
Anche B arriverà alla stessa conclusione, quindi entrambi prenderanno la capricciosa. La cosa “stupefacente” è che in questo modo il bilancio dei due sarà per entrambi 0, lo stesso risultato che avrebbero ottenuto prendendo una margherita: la loro possibilità di scelta però è limitata alla capricciosa.
Quale è la conseguenza di ciò? Prendere due margherite o prendere due capricciose dovrebbe essere equivalente. Invece la scelta non può essere altra che capricciosa per entrambi: il contesto ha determinato la scelta dei due che non sono stati liberi di agire i base al loro arbitrio.
Chi ci guadagna invece è il gestore del locale, cioè colui che ha imposto questa regola e che venderà le pizze più costose ottenendo un maggior margine di guadagno!
La conclusione a cui si è giunti chiarisce la domanda iniziale: siamo liberi di compiere le scelte in base a quanto riteniamo più giusto oppure è il contesto che ci guida? La risposta in buona sostanza è che chi è in grado di stabilire le regole manipola la nostra volontà.
In una situazione diversa avremmo potuto fare altre scelte: è la capricciosa la pizza che veramente desideriamo oppure no? Il gestore della pizzeria, imponendo che si paghi “alla romana” sa che in questo modo guadagnerà di più, dandoci comunque l’illusione di poter scegliere dal menù che ci ha presentato.
La risposta è che si è veramente liberi solo se si ha la possibilità di scegliere le regole con le quale si partecipa, mentre quando si è imprigionati in uno schema di regole fisse non si hanno scelte oltre quelle previste come conseguenza dallo schema stesso.
Tale risultato si può applicare certamente nel momento in cui si va a mangiare una pizza, ma non abbiamo fatto tanto lavoro per così poco: proviamo ad applicarla in altri contesti, quando per esempio paghiamo le tasse: è ovvio che conviene non pagarle affatto e sfruttare i benefici a cui lo Stato permette di accedere (sanità, giustizia, ecc.), ma come nella logica applicata in precedenza la cosa più conveniente da fare sarà data dal meccanismo: basterebbe quindi creare un meccanismo per il quale la cosa migliore sia pagare le tasse, e tutti sarebbero dei contribuenti onesti (Problema del Free Rider).
Si tratta quindi di un principio applicabile in una svariata quantità di situazioni: chi è in grado di scegliere “le regole” può ottimizzare il proprio tornaconto. La capacità di padroneggiare con questi tipi di ragionamenti risulta quindi di grande utilità per le aziende, il cui obbiettivo è il rendimento economico,sia mentre giocano la “loro partita” nella competizione con altre aziende, che al loro interno creando una struttura organizzativa, un insieme di regole interne esplicite o di fatto, tali da massimizzare il rendimento dei propri dipendenti. I dipendenti, una volta inseriti in questo insieme di regole inizieranno a loro volta la loro partita allo scopo di massimizzare il proprio tornaconto, senza rendersi conto che i loro obiettivo in realtà è obbiettivi del proprio datore di lavoro, il loro comportamento è quello previsto dallo schema prestabilito, e che li condurrà ad un vantaggio pari a zero.

Misurazione dei percorsi podistici con GPS

La tecnologia ha invaso ormai tutti gli aspetti della nostra vita; che sia un bene o meno ormai non possiamo fare più a meno di tanti oggetti che a volte ci semplificano la vita, a volte ce la rendono più complicata, in certi casi ci aiutano a pensare e in altri ci permettono di evitare di pensare troppo.
Volevo in questo caso trattare degli ormai diffusissimi apparecchi GPS utilizzati nella corsa, nella forma di telefonini/smartphone, orologi o altri tipi di apparecchietti.
A molti la misura della distanza ha interessato sempre poco, come magari non interessa nemmeno il risultato cronometrico e facendo a meno di qualunque tipo di cronometro o anche del più classico orologio analogico: ciò va benissimo, ognuno deve gestire la sua passione per la corsa come meglio crede e nel modo che gli maggiori soddisfazioni. Io invece corro con tutt’altro spirito: appartengo a quella categoria di podisti che mantiene da decenni un diario degli allenamenti in cui segna i tempi, kilometraggio, frequenza e intensità delle ripetute e quant’altro. Il supporto delle nuove tecnologie è fondamentale per chi come attività collaterale alla passione per la corsa aggiunge quella di collezionista di numeri e cifre.
Partiamo dallo spiegare di cosa stiamo parlando: il sistema GPS. L’apparecchietto che abbiamo in tasca, sul polso, sul cruscotto dell’auto non fa altro che ricevere dei bip da una serie di satelliti. Ce ne sono alcune decine che trasmettono, ma solo di alcuni si riescono a ricevere contemporaneamente il segnale. Incrociando i dati provenienti dai satelliti il dispositivo è in grado di calcolare le coordinate del luogo in cui si trova, e al tempo stesso effettuando ripetuti campionamenti è in grado di calcolare lo spazio percorso e la velocità media nel tratto in questione. È interessante cercare di rispondere riguardo l’attendibilità della misura effettuata.
Iniziamo col dire che in qualunque modo si effetti una misura, il valore ottenuto è affetto da un errore; non esistono misure esatte, in qualunque campo, e in particolare non è possibile ottenere la misura esatta di un percorso podistico su strada.
Ciò significa che la misura (in questo caso di un percorso) non ha senso se non lo si associa alla stima della sua incertezza. I percorsi delle gare su strada per essere omologati devono avere una incertezza al più di 1 metro al km, e sempre per eccesso, quindi le gare di maratona misurano dai 42,195 ai 42,237 km, lungo il tragitto più breve (Regola 240 del regolamento tecnico).
Cosa si può dire riguardo al misurazione con il GPS? Se nell’ultimo allenamento mi segnala che ho percorso 9,86 km, in quanto vicino è questo valore dalla distanza compiuta realmente? Avrà sbagliato di 10 m? 100 m? 500 m? È difficile rispondere a questa domanda. Sappiamo che i GPS che usiamo in macchina sono abbastanza precisi, ci sanno dire dove girare e ci avvertono quando siamo arrivato nel posto desiderato, ma qual è l’incertezza con cui restituiscono il loro risultato in termini numerici?
Da antichi ricordi scolastici mi ritorna in mente che l’errore in una misura è dato da un diverse componenti.
1. Precisione dello strumento: è legato al numero di cifre dopo la virgola che lo strumento ci fornisce.
2. Errore sistematico: è dovuto alla non esatta taratura dello strumento che devia il risultato sempre allo stesso modo.
3. Errore casuale: questo fenomeno comporta che misure ripetute forniscano risultati sempre diversi. L’errore può essere dovuto ad una imprecisione umana nell’avviare o fermare l’apparecchio GPS, oppure a variazioni del percorso: una curva fatta dal lato più largo, un ostacolo imprevisto da superare. Inoltre per quanto riguarda i GPS, la precisione dipende dal numero di satelliti che si riescono a ricevere, quindi qualunque ostacolo che limita la ricezione aumenta l’errore casuale.
In base a queste considerazioni provo a fare un esperimento: voglio misurare un percorso con il mio GPS e capire quale è l’incertezza della quantità numerica che ottengo. Come strumento utilizzo un Garmin Forerunner 110, che sul display mi fornisce le letture con due cifre dopo la virgola, ma scaricando l’allenamento su un apposito software (Turtle Sport, Free e Open Source, con il pregio di funzionare anche su sistemi Linux), posso visualizzare anche una terza cifra. Ciò significa che se lo strumento mi restituisce 9,863 km vuol dire che per lui ho compiuto un percorso di lunghezza non ben determinato, ma compreso tra 9,863 e 9,864 km. Il mio Garmin quindi mi fornirà una misura incerta compresa in in intervallo ampio 1 metro, ma ciò non significa che l’errore commesso è di 1 metro: non ho ancora considerato l’errore sistematico e casuale. La precisione non ci dice molto, ci fa capire solo che un GPS non sicuramente lo strumento adatto a misurare la lunghezza di un tavolo, mentre è sicuramente indicato per misurare tratti stradali.
L’errore sistematico può essere stimato eseguendo la stessa misura con strumenti diversi: è ben difficile che più strumenti sbaglino allo stesso modo, ma io ho soltanto un GPS e quindi non posso fare stime su questa componente.
Per quanto riguarda l’errore casuale esiste un modo molto semplice per darne una stima: ripetere più e più volte la misura. Se il risultato tra le varie misure vari
Per cercare di capirci qualcosa non possiamo fermarci ad una sola misura, ma eseguiamo la misura dello stesso percorso più volte. Il risultato dovrebbe essere pressappoco lo stesso, con qualche piccola variazione.
Come premesso è mi abitudine prendere nota dei percorsi, dei km e dei tempi dei miei allenamenti, quindi mi basta andare a prendere in esame i valori che ho collezionato su un dato percorso, ottenendo un elenco di valori in km. Per prima cosa calcolo la media di questi numeri: basta una calcolatrice, si sommano i valori e si divide per la loro numerosità. Il risultato che ottengo è 11,283 km.
Noto quindi che molti valori non si discostano molto dalla media, mentre alcuni ne sono alquanto lontani. Può succedere infatti che l’apparecchio GPS indichi che è possibile iniziare l’allenamento perché è in grado di ricevere il segnale dai satelliti, ma magari in quel momento “vede” pochi satelliti e la posizione viene calcolata in maniera molto approssimativa. Scaricando il percorso effettuato si può notare che in questi casi per alcune centinaia di metri, nella fase iniziale, il percorso effettuato differisce molto da quello reale, e anche se per il resto dell’allenamento il percorso è tracciato correttamente l’errore iniziale invalida la misura.

Errore di rilevazione GPS

 

Scartiamo quindi le misure che deviano troppo rispetto alla media e prendiamo in considerazione le rimanenti e ne faccio la media.

Valore Scostamento
dalla media
Accettato Scarto
11,165 0,1181333333 No
11,254 0,0291333333 0,03525
11,190 0,0931333333 No
11,261 0,0221333333 0,02825
11,279 0,0041333333 0,01025
11,271 0,0121333333 0,01825
11,271 0,0121333333 0,01825
11,311 0,0278666667 0,02175
11,321 0,0378666667 0,03175
11,321 0,0378666667 0,03175
11,277 0,0061333333 0,01225
11,326 0,0428666667 0,03675
11,259 0,0241333333 0,03025
11,421 0,1378666667 No
11,320 0,0368666667 0,03075

La media dei valori validi è 11,289 km: possiamo considerare questo risultato come la misura del percorso. Quello che ci serve però è capire quanto questa misura è attendibile, e in questo caso calcolare l’errore casuale. Si possono fare diverse valutazioni: una volta calcolati gli scarti rispetto alla media di ciascuna delle misure se ne può fare la media: il risultato non ci dice quale è l’errore casuale, ma ci dà una stima dell’ordine di grandezza. Svolgendo i calcoli otteniamo 0,0254… cioè un po’ più di 25 metri. Sono possibili altri tipi di analisi ma in questo caso, avendo a disposizione poche misure non è possibile applicarli.
L’errore può essere quindi stimato intorno allo 0,23% (2,3 metri ogni km); ben più del doppio della tolleranza necessaria per l’omologazione di una gara, ma sicuramente sufficiente ad un qualunque podista per poter analizzare il proprio allenamento.

Riferimenti bibliografici e approfondimenti

  • The Measurement of Road Race Courses, Associaction of International Marathons and
  • Distance Races, Second edition 2004 Updated 2008
  • Regolamento Tecnico Internazionale per le Gare di Atletica Leggera – 2012, atleticacomunicati – Supplemento al n. 1-3/2011
  • Garantito al Centimetro, Magda Maiocchi – Rivesta “Correre” 2002
  • Physica, A. Caforio, A. Ferilli – Le Monnier 1995

 

La Metafora del Tempo

“Tac”, “tac”, “tac”, “tac”.
Un lontano rumore impregna l’aria afosa di quest’estate e scandisce instancabilmente lo scorrere del tempo.
“Tac”. “Tac”. “Tac”.
Leggero, appena accennato.
Al prossimo tac sapremo che un altro istante è passato.
“Tac”.
A volte sembra che rallenti, e con esso l’incedere di questa calda stagione.
A volte accelera e si fa più forte e deciso.
“Tac”, “tac”, “tac-tac-tac-ta-ta-ta…”
Veloce, sempre di più, sempre più forte e all’improvviso…
Silenzio.
Il ritmo si interrompe e con esso il tempo. Il mondo smette di girare.
Il nostro sangue è fermo.

“Tac”.
Il suono riprende. Tutto torna normale. Il tempo scorre nel suo solito verso. Siamo ancora vivi.
“Tac”. “Tac”. “Tac”.
Ancora sentiremo il ritmo incedere per poi spegnersi all’improvviso, proprio quando è più forte come in un eterno ciclo che si concluderà solo quando anche quest’estate sarà finita.