È solo una questione di Logica

Gli argomenti di logica matematica che più solleticano la fantasia sono quelli che sembrano andare contro il senso comune. Tra questi il caso più interessante e ricco di spunti è la descrizione del significato dell’implicazione logica.
L’implicazione è un operatore che si applica a due frasi valide; il risultato è una terza frase, composta dalle prime due che avrà una struttura del tipo “se … allora …” e sarà anch’essa una frase valida.
Ho usato qui il termine “frase valida” in maniera impropria per evitare di usare il termine più corretto ma trippo “pomposo” di formula ben formata (tanto che in genere per essa si usa l’abbreviazione fbf), che, sempre per semplificare, si può definire come una frase che assume uno e uno solo dei valori tra vero e falso.
Dal punto di vista più formale, siano A e B due frasi valide, applicando l’implicazione logica otteniamo la frase valida “se A allora B“, che se spesso si può trovare nella forma “A è condizione sufficiente per B” o “B è condizione necessaria per A“, o ancora, utilizzando la simbologia A[math]\implies[/math]B. Al pari di A e B anche A[math]\implies[/math]B, in quanto frase valida, sarà vera o falsa. In particolare sarà sempre vera tranne nel caso in cui A è vera e B falsa.
Per chiarire la definizione di un operatore logico (per chi non lo sa, ce ne sono altri oltre l’implicazione) si usa spesso la tavola della verità, cioè si enumerano tutte le possibili combinazioni di valori di verità di A e B e si indica il corrispondente valore della frase composta:

A B A[math]\implies[/math]B
V V V
V F F
F V V
F F V

In Matematica, e a maggior ragione in Logica Matematica, una definizione non si discute ma la si tratta come una pura convenzione. Aver chiamato quest’operatore implicazione e leggerla come “se A allora B” non significa ad esempio che tra A e B ci sia una relazione di causa-effetto, ed in generale non bisogna farsi trarre in inganno dal significato che una frase del genere ha nel “linguaggio comune”.
Per chiarire ciò caliamo questo discorso in un caso reale; può capitare ad esempio di essere impiegato presso una società (che per esempio può essere una qualunque società di consulenza informatica o quant’altro) per diversi anni e con il tempo trovarsi ad essere relegato in attività sempre più marginali, ad avere sempre meno credito e di conseguenza ottenere delle valutazioni di anno in anno peggiori malgrado si cerchi di contribuire con il proprio impegno e disponibilità (sì, in queste società alla fine dell’anno ti fanno una pagellina, proprio come a scuola, eppure quello che fai è un lavoro e sei inquadrato con un Contratto Collettivo Nazionale). Ci si può chiedere per quale motivo continuare nell’impegnarsi a contribuire al successo del progetto per cui si lavora e in generale per l’azienda, dal momento che non si si otterrà nulla in cambio? Per essere chiari lavorare sì e con impegno, perché è ciò per cui è pagati ed è tuo dovere rispettare l’impegno contrattuale; ma tutto ciò che è extra? Perché essere disposti a dare di più?
La domanda è fondamentale, ma quello che conta soprattutto è la risposta: “se questa società durerà a lungo allora impegnati quanto più è possibile”.
Abbiamo una frase del tipo “se A allora B“, dove:

A=”questa società durerà a lungo”;

B=”impegnati quanto più è possibile”.

Ogni frase ha la sua negazione, cioè una frase valida che è vera se la frase di partenza è falsa e falsa se la frase di partenza è vera:

[math]\neg[/math]A=”questa società non durerà molto”

[math]\neg[/math]B=”impegnati solo il necessario”

Sottolineiamo qui la prima considerazione controintuitiva: la frase A [math]\implies[/math]B non equivale a [math]\neg[/math]A [math]\implies[/math][math]\neg[/math]B: non è corretto dire “se questa società non durerà molto allora impegnati solo il necessario”, bensì la frase corretta deve essere scritta “se impegnati solo il necessario allora questa società non durerà molto”. La cosiddetta forma contronominale dell’implicazione assume la forma [math]\neg[/math]B [math]\implies[/math][math]\neg[/math]A.

Una seconda considerazione riguarda la stessa definizione di implicazione: questa frase è sempre vera a meno che A sia vera e B falsa. Aiutandoci anche con la tabella precedente si ha che l’implicazione è vera nei seguenti casi:

  • “questa società durerà a lungo” è vera e “impegnati quanto più è possibile” è vera
  • “questa società durerà a lungo” è falsa e “impegnati quanto più è possibile” è vera
  • “questa società durerà a lungo” è falsa e “impegnati quanto più è possibile” è falsa

mentre è falsa nel caso

  • “questa società durerà a lungo” è vera e “impegnati quanto più è possibile” è falsa

Riscrivendo le frasi in forma negativa, le frasi atomiche sono vere ed è vera anche l’implicazione:

  • “questa società durerà a lungo” e “impegnati quanto più è possibile”
  • “questa società non durerà molto” e “impegnati quanto più è possibile”
  • “questa società non durerà molto” e “impegnati solo il necessario”

mentre in questo caso, malgrado le frasi atomiche siano vere, l’implicazione è falsa:

  • “questa società durerà a lungo” e “impegnati solo il necessario”

In primo luogo, supponendo l’implicazione vera, si nota che B sia vero o meno non ci permette di dire nulla sul valore di verità di A, dal momento che “impegnati quanto più è possibile” è vera, non è detto che sia vero o che “questa società durerà a lungo”, ma lo stesso avviene se “impegnati solo il necessario” è vera: “questa società durerà a lungo” può essere vera o falsa.
A rafforzare tale stranezza tra A e B c’è solo una relazione logica e non una relazione di causa-effetto: “questa società non durerà molto” è causa del fatto che devi “impegnati quanto più è possibile”? Come abbiamo detto la risposta è no.

Un’altra considerazione sull’implicazione consiste nella possibilità di essere scritto in forme alternative completamente equivalenti, ottenendo cioè la stessa tabella di verità. La scrittura alternativa dell’implicazione è [math]\neg[/math]A [math]\lor[/math]B: quest’ultima assume gli stessi valori di verità di A [math]\implies[/math]B, ciò vuol dire che l’implicazione equivale alla frase “questa società non durerà molto o impegnati quanto più è possibile”, che non ha molta relazione con quanto il senso comune ci suggerisce.

Spero che l’aver inspirato abbastanza dubbi, nella speranza di indurre chi legge ad approfondire ma una cosa la posso svelare; per quanto mi riguarda [math]\neg[/math]B (“impegnati solo il necessario”) è quanto ho fatto dal momento che ho realizzato che impegno e disponibilità non corrispondeva nessun tipo di gratificazione, anzi sembrava che avvenisse il contrario; altresì dal momento stavo solo aspettando il momento giusto per cambiare lavoro, cosa che era ormai nell’aria, ho dovuto solo pazientare un po’.

3.14.15 Giorno del Pi-Greco del Secolo

Il giorno del pi-greco ricorre ogni anno il 14 marzo, che scritto in formato americano si indica appunto con 3.14. Quest’anno il giorno del pi-greco sarà ancora particolare, perché le cifre dell’anno formano in numero 3.1415: sarà il giorno del pi-greco del secolo!
latex Teacher Pointing to Pi on Chalkboard
Ogni anno creo un evento su Facebook e per attirare l’attenzione cerco di mettere in evidenza delle curiosità, quest’anno il tema è “Pi-Greco e Simpson. Quale relazione ci può essere tra le due cose?
lisa-homer-pie21
Forse nessuna, ma cercando su internet ci si può imbattere in questa strana formula matematica, e allora qualcosa sotto c’è:
336-simpsons-rule
Si tratta di un metodo di integrazione, ci serve una funzione da integrare; il risultato potrebbe servirci per approssimare pi-greco. L’idea più immediata potrebbe essere quella di integrare \sqrt{1 + x^2} tra 0 e 1 (area del settore circolare nel 1° quadrante), tenendo conto che l’area del cerchio di raggio 1 è proprio pi-greco, basterà moltiplicare il risultato per 4. Io però eviterai di usare questa funzione, comunque presenta un radicale e si dovrebbe trovare il modo di calcolare la radice, introducendo un ulteriore problema nel problema: evitiamo prendendo una funzione diversa, ma quale?
Precisiamo, giusto per non creare spiacevoli equivoci, la formula di integrazione presentata non è di Homer Simpson, ma prende il nome da Thomas Simpson, anche se la formula era già nota ai suoi tempi. Non è improbabile però che gli autori della serie di cartoni (tutti con competenze e studi scientifici) abbiano dato di proposito al protagonista il cognome del famoso matematico. Famosi sono inoltre i riferimenti matematici, espliciti e nascosti, presenti negli episodi.
Una bella funzione razionale è f(x)=\frac{1}{1 + x^2}, e fa proprio al caso nostro; integrata tra 0 e 1 dà arctg(1) che corrisponde all’angolo di 45°, perché come ben noto (?) tg(45^{\circ})=1. Ma l’angolo di 45° è proprio \pi/4.
Abbiamo quindi una funzione facile da calcolare e da inserire nella formula di Simpson: andiamo avanti senza indugi al calcolo di pi greco!
Per essere più chiari, useremo la suddetta formula di Simpson (meglio nota come Regola di Cavalieri-Simpson) per calcolare in maniera approssimata quest’integrale.
\int_{0}^{1} \frac{1}{1 + x^2} dx = \frac{\pi}{4}.
Ovviamente non proveremo a calcolarlo manualmente: abbiamo il computer e un bellissimo ambiente di programmazione tra l’altro gratuito e facile. Non ci resta che scrivere (anzi comporre in questo caso) il programmino ed è fatta.

John H. Conway

Il calendario perpetuo di Conway

John H. Conway
John H. Conway

Non dovrebbe essere necessario presentare un personaggio come John H. Conway, uno dei più famosi e importanti matematici viventi [quando è stato scritto l’articolo, chi legge ora saprà che della sua morte a causa del coronavirus avvenuta nel 2020, ndr], ma ho notato invece che è necessario presentarlo.
Oltre ad aver raggiunto una fama mondiale nel campo della matematica è famoso anche per il suo carattere estroso e anticonvenzionale. È stato attivo nella ricerca sulla Teoria dei Gruppi, ha contribuito allo studio del cosiddetto “Gruppo Mostro” e alla classificazione dei gruppi semplici finiti, realizzando il famoso Atlante[1].
Il suo carattere lo ha portato a interessarsi di vari e particolari aspetti della matematica ad esempio a sviluppare ricerche in ambiti ludici: dall’analisi di giochi classici all’invenzione di nuovi giochi.

Conway e il Gruppo Mostro
Conway e il Gruppo Mostro

Può essere sicuramente definito un genio, ma non di quelli che preferiscono isolarsi dal mondo per pensare solo al suo lavoro; al contrario Conway è una persona estremamente estroversa a cui piace anche mettere in mostra la propria intelligenza, l’eccezionale memoria, la capacità di effettuare calcoli e arrotolare in vari modi la sua lingua[2].

Tra le sue particolari “invenzioni” vi è la creazione di un algoritmo/metodo mnemonico per conoscere il giorno della settimana di qualunque data.
Il calcolo è abbastanza semplice, dal momento che ogni anno è caratterizzato da un o specifico giorno della settimana, detto doomsday; ad esempio nell’anno 2000 il doomsday era il martedì, nel 2001 il mercoledì e così via con una successione che si svolge con una logica che vedremo più avanti.

Ci sono alcune date nel corso dell’anno che cadono sempre nel doomsday, da queste si può partire per calcolare il giorno di una qualunque data. Per esempio il doomsday del 2015 è sabato e cadranno di sabato i giorni 03 gennaio, 31 gennaio, i giorni divisibili per 7 dei mesi di febbraio e marzo (7, 14, ecc.), mentre per tutti gli altri mesi vige questa semplice regola mnemonica, nei mesi pari: 04/04, 06/06, 08/08 ecc. sono doomsday, cioè nei mesi pari il giorno uguale al numero del mese è sempre doomsday. Nei mesi dispari invece si può usare un altro semplice trucco per memorizzare i doomsday: i giorni sono 05/09 e 09/05 nonché 11/07 e 07/11. Per la loro simmetria basta fissarne a mente due e conoscere automaticamente gli altri due (in effetti in lingua inglese è possibile usare un trucco mnemonico più forte). Quanto detto vale per gli anni non bisestili come appunto il 2015; gli anni bisestili differiscono solo per quanto riguarda i primi due mesi del calendario.
La regola completa consiste nel distinguere, per i primi due mesi dell’anno, degli anni bisestili dai non bisestili:

Anni non bisestili: sono Doomsday

  • 3 e 31 Gennaio
  • 7, 14, 21, 28 Febbraio

Anni bisestili: sono doomsday

  • 3 e 31 Gennaio
  • 1 e 29 Febbraio

Da notare che l’ultimo giorno del mese di Febbraio è sempre doomsday (sia esso il 28 o il 29).
Per tutti gli altri mesi valgono sempre le regole sopra esposte che sintetizziamo di seguito:

  • a Marzo sono doomsay il 7, 14, 21 e 28
  • nei mesi dispari sono le seguenti date simmetriche: 9/5, 11/7, 5/9, 7/11
  • nei mesi pari: i giorni con lo stesso numero del mese: 4/4, 6/6, 8/8, 10/10, 12/12

Inoltre ci sono alcune date facili da ricordare corrispondenti ad alcune ricorrenze; il 4 Luglio (in USA il giorno dell’Indipendenza) e il 25 aprile (in Italia la Festa della Liberazione); ferragosto, cioè il 15 Agosto, il giorno di Halloween (31 Ottobre), San Silvestro 26 dicembre, cioè il giorno dopo Natale. Per i napoletani può essere utile ricordare che il giorno di San Gennaro (19 Settembre) è un doomsday.
Ci sono poi date che hanno un significato personale e facili da ricordare: anche queste possono essere usate come riferimento, per esempio cade in un doomsday la mia data di nascita (ma anche quella di Conway). Nell’arco dell’anno troviamo quindi molti doomsday facili da ricordare. Volendo stabilire il giorno della settimana di una qualunque data basta cercare il doomsday più vicino.
Resta solo da capire come stabilire il Doomsday dell’anno: l’algoritmo non è molto semplice per persone normali, mentre può risultare estremamente facile da memorizzare ed applicare per una persona con il cervello di Conway.

Per semplificare il ragionamento consideriamo questa tabella:

Lun. Mar. Mer. Gio. Ven. Sab. Dom.
1898 1899 1900 1901 1902 1903
1904 1905 1906 1907 1908 1909
1910 1911 1912 1913 1914 1915
1916 1917 1918 1919 1920
1921 1922 1923 1924 1925 1926
1927 1928 1929 1930 1931
1932 1933 1934 1935 1936 1937
1938 1939 1940 1941 1942 1943
1944 1945 1946 1947 1948
1949 1950 1951 1952 1953 1954
1955 1956 1957 1958 1959
1960 1961 1962 1963 1964 1965
1966 1967 1968 1969 1970 1971
1972 1973 1974 1975 1976
1977 1978 1979 1980 1981 1982
1983 1984 1985 1986 1987
1988 1989 1990 1991 1992 1993
1994 1995 1996 1997 1998 1999
2000 2001 2002 2003 2004
2005 2006 2007 2008 2009 2010
2011 2012 2013 2014 2015
2016 2017 2018 2019 2020 2021
2022 2023 2024 2025 2026 2027
2028 2029 2030 2031 2032
2033 2034 2035 2036 2037 2038
2039 2040 2041 2042 2043
2044 2045 2046 2047 2048 2049
2050 2051 2052 2053 2054 2055
2056 2057 2058 2059 2060
2061 2062 2063 2064 2065 2066
2067 2068 2069 2070 2071
2072 2073 2074 2075 2076 2077
2078 2079 2080 2081 2082 2083
2084 2085 2086 2087 2088
2089 2090 2091 2092 2093 2094
2095 2096 2097 2098 2099 2100

E la sequenza sembra abbastanza chiara: il doomsday si sposta di un giorno ogni anno, nei bisestili si sposta di due. Il ciclo si ripete in 28 anni.

Il gioco che faceva spesso Conway per stupire l’interlocutore era indovinare il giorno della settimana ad esempio quello della sua data di nascita; ad esempio se l’interlocutore fosse nato il 26 agosto 1965, nota dalla tabella che il doomsday del 1965 è la domenica (Conway era in grado di determinarlo con calcoli basati sull’aritmetica modulare a mente). La data di agosto di riferimento è l’otto agosto (08/08), che è capitata quindi di domenica, con un semplice conteggio si può capire che il 26 agosto 1965 era giovedì.

[1] John H. Conway; R. T. Curtis; S. P. Norton; R. A. Parker; R. A. Wilson: “Atlas of Finite Groups: Maximal Subgroups and Ordinary Characters for Simple Groups” Oxford, 1985
[2] Marcus Du Sautoy: “Il disordine perfetto: L’avventura di un matematico nei segreti della simmetria” BUR, 2010

Premi invio, anzi no!

comandi_dos_senza_invio

Le spiegazioni di questo problema possono essere tante: incapacità di fare un’analisi, ignoranza, scarsa voglia di capire, a cui si aggiunge l’assoluta incapacità di esprimersi in maniera corretta. Non metto in dubbio che venga riscontrato un problema, ma non è possibile scrivere una cosa del genere senza capire che si rischia di fare una figura da imbecille. Inoltre sembra che solo io mi sia accorto della cosa, per cui posso pensare che oltre alla incapacità di esprimersi in maniera corretta, sia molto diffusa l’incapacità di comprendere un testo scritto.

ArthurSchopenhauer
“Un uomo intelligente costretto a vivere insieme a degli sciocchi assomiglia a colui che ha un orologio che va bene in una città le cui torri hanno tutte orologi che vanno male. Lui solo ha l’ora giusta: ma a che gli serve? Tutta la città si regola secondo gli orologi cittadini sbagliati, persino coloro i quali sanno che soltanto il suo orologio indica l’ora vera”

Arthur Schopenhauer.

Non è certo quanto io sia intelligente, può darsi che anche il mio orologio porti un po’ male, ma non solo devo prendere tristemente atto del livello delle persone che mi circondano, e di un generale appiattimento verso il basso. Ammesso anche che una persona possa prendere una cantonata e scrivere una fesseria, ma se le persone che leggono in copia non si affrettano a chiedere una precisazione vuol dire che per loro va tutto bene, tra l’altro in un ambiente che si ritiene di elevato livello professionale.
Insomma io mi trovo in mezzo a persone così, ci devo lavorare; quelli che dovrebbero esprimere dei giudizi su di me o sono così o notano nulla di strano, e non so quale è la cosa peggiore.

Se li voti sei un coglione

La politica italiana si è distinta negli ultimi anni per grandi novità, differenziandosi dal passato per i toni e il modo di comunicare, e tali modalità sono state trasferite nella campagna elettorale per le elezioni politiche 2013. Malgrado sia passato un sacco di tempo non ho mai avuto tempo per commentare questi metodi di comunicazione e questo discorso potrebbe sembrare capitato fuori tempo massimo, ma vale la pena spenderci due parole perché è una questione che è destinata a ripetersi, forse addirittura tra pochi mesi. In ogni caso si tratta di una puntualizzazione che mi ero ripromesso di fare prima o poi e adesso trovo l’occasione.
Se li voti sei un coglione!Eccovi quindi un esempio di comunicazione diffusa su Facebook da uno dei tanti attivisti di uno dei maggiori movimenti politici di nuova diffusione: analizziamo i punti che ho individuato.
(1) Lo commento alla fine.
(2) L’immagine condivisa è originata da una pagina FB di un gruppo che si definisce “Nazionalisti Italiani”. Analizzando le loro pagine intuisco subito che si tratta di persone che muovono le loro azioni da ideali politici che non hanno nulla a che vedere con i miei (tanto per usare un eufemismo): ognuno la può pensare come vuole, ma si tratta di una brutta caduta di stile per l’attivista in questione che ha condiviso quest’immagine.
(3) Riguardo il testo: “Ci hanno ridotto in povertà e senza lavoro”, riferendosi ai noti personaggi illustrati nell’immagine. Il punto è che io conosco personalmente l’attivista in questione; non è ridotto in povertà, ha un posto di lavoro fisso. Forse spera di guadagnare consenso per il suo movimento con i guai altrui? In ogni caso un’ulteriore caduta di stile nella comunicazione dell’attivista. “Ci impongono di sacrificare la nostra vita e le nostre famiglie… per cosa?”: sinceramente questa frase non la capisco: cosa significa sacrificare le nostre vite e le nostre famiglie? Non credo che nessuno delle persone ritratte abbia mai proposto un olocausto; si tratta di una frase qualunque messa lì a caso? Vabbé continuiamo… “per mantenere i loro vizi e privilegi e delle cricche che li appoggiano”. Credo proprio che alcune delle persone ritratte non hanno bisogno dei nostri soldi per mantenere “vizi e privilegi”, altri sono interessati al potere più che a “vizi e privilegi”, e un po’ tutti sono convinti di aver fatto e fare il bene altrui. Di ciò sarebbe bene discuterne in maniera approfondita valutando il ruolo che hanno avuto i vari personaggi che si sono susseguiti sulla scena politica, e magari trovando spazio per un’autocritica: in fondo siamo noi i responsabili di tutto. La frase invece termina con “merde!”. Nessun contenuto, nessun ragionamento, nessun distinguo, nessuna autocritica: troppo facile e troppo comodo.
(4) La frase finale “Se li voti sei un coglione!” arriva all’offesa per chi legge. La comunicazione non può arrivare a questo punto.
Ritorniamo adesso a:
(1) Dall’immagine dell’attivista si capisce che abbiamo a che fare con una persona giovane, che tiene a mostrarsi in giacca e cravatta perché vuole apparire al meglio di sé e mostrarsi come una figura rassicurante e professionale. Ne ho oscurato i connotati e il nome; non ce ne sarebbe stata la necessità, il post è stato pubblicato su una piattaforma pubblica, e tra l’altro all’epoca gli feci presente che il post non era appropriato e che sarebbe stato meglio toglierlo, ma non l’ha tolto. Quindi potrei mettere benissimo la sua faccia. Non lo faccio, non si sa mai, meglio evitare. Immancabile il simbolo riportato in questo caso in alto a sinistra, che identifica in maniera esatta l’orientamento e l’origine del post.

Sarebbe stato interessante discutere di politica, ma non in questi termini. Espressioni di questo tipo mi hanno definitivamente portato a nutrire una forte antipatia (che comunque già covavo) nei confronti di questi movimenti.

Il lavoro del matematico

Il problema di definire quali sbocchi lavorativi può avere una laurea in matematica si può sintetizzare con una battuta che gira su Internet e che ho qui adattata:

Trova l’intruso tra:
a) Una laurea in medicina
b) Una laurea in ingegneria
c) Una laurea in matematica
d) Una pizza formato gigante

La risposta è c, perché solo con a, b e d puoi sfamare una famiglia di quattro persone.

Per esempio un laureato in medicina farà quasi certamente il medico, ci sarà qualcuno che si occuperà di insegnamento o ricerca, magari come seconda attività, ma possiamo affermare che a questo titolo di studio corrisponde una ben definita professione.

Lo stesso vale per il laureato in ingegneria, che potrebbe anche orientarsi verso l’insegnamento o a tante altre cose, ma la sua professione consisterà nel costruire edifici, ponti, strade; sarà un ingegnere.

Un laureato in matematica può anch’esso orientarsi verso la ricerca o l’insegnamento, ma in realtà qual è il suo mestiere? Quale professione si può associare a questo titolo di studio? Il quesito è spiazzante perché si suppone una volta uscito dall’università il matematico insegni matematica, e ciò mette in evidenza il fatto che questa laurea non è una laurea come le altre perché non conduce a un “mestiere”. Si potrebbe pensare il motivo di ciò sia il fatto che la matematica è un’attività inutile dal punto di vista pratico, mentre invece non è questo il motivo.

Per fare il lavoro del medico per legge è necessario aver studiato medicina, altrimenti per legge non è possibile visitare malati e prescrivere cure. Così pure non si può costruire un edificio senza che un tecnico con i requisiti di legge firmi un progetto.

Quindi in primo luogo i laureati in queste e in molte altre discipline possono iscriversi ad un albo professionale ed inoltre la legge impone che solo gli iscritti a questi albi possono svolgere determinate attività.

Il motivo non è quindi che la matematica sia una disciplina inutile, ma che chiunque, al contrario di altri lavori, può fare il lavoro che dovrebbe essere di specifica competenza del matematico: la legge non prevede che alcune cose siano “math proof”, verificate cioè da uno specialista iscritto all’albo.

Ma qual è il lavoro specifico del matematico? La competenza che contraddistingue un matematico è essenzialmente la capacità di ragionamenti validi. Conosce tutti i tipi di ragionamento (induzione logiche), una serie di tecniche che gli permettono di affermare che le conclusioni a cui giunge sono corrette, per esempio è capace di ragionare per assurdo: di cosa si tratta? Negando la conclusione a cui si vuole giungere si cerca una contraddizione con una delle ipotesi, si conclude che la conclusione è verificata. Per esempio vogliamo dimostrare che i numeri sono infiniti. Enumerarli tutti non è possibile, quindi supponiamo che i numeri siano in quantità finita. Questo genera nei più un rifiuto: perché affermare che siano in numero finito se vogliamo dimostrare che sono infiniti? Si tratta solo di una tecnica di ragionamento.
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Se i numeri sono in quantità finita, e il più grande, è, per esempio, 100000000000000000000000 o qualunque altro. Ma ciò vorrebbe dire che non si può sommare 1 a questo numero perché si otterrebbe un numero maggiore del numero più grande!

Siccome sappiamo che è sempre possibile sommare 1 ad un qualunque numero la nostra ipotesi per assurdo è sbagliata: non è vero che i numeri sono in quantità finita, cioè i numeri sono infiniti.

È inoltre facile per un matematico comprendere che, sebbene “se 2+2=3 allora 0=1” è una frase vera, 2+2 non fa 3 e 0 non è 1.

Insomma un matematico oltre ad avere uno spiccato gusto per il paradosso, come si può capire da questo post, conosce una serie di tecniche che gli consentono di verificare se un’affermazione è corretta o meno: ma solo il matematico? Certamente no, chiunque può studiare questi argomenti, come chiunque può leggere un manuale di medicina o un libro di teoria delle costruzioni, ma andreste da queste persone a farvi curare o farvi costruire la casa? Credo proprio di no, anche perché la legge non lo consente. Eppure ascoltate ragionamenti fatti da chiunque, non “math proof” e li prendete per buoni.
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Non esiste una figura di un “verificatore” dei ragionamenti, con tanto di albo e requisiti selettivi per essere ammessi. Si pensi al vantaggio per un autore poter esibire nei suoi saggi e nei suoi articoli un bollino “logicamente testato”, una garanzia di qualità che a sarà un vanto esibire. Senza contare i discorsi dei politici: in genere sembra che dicano sempre cose corrette; in questo modo dovrebbero o adeguarsi a ragionamenti logici o perdere credibilità. In alcuni casi il bollino dovrebbe essere obbligatorio per legge, per fornire garanzia su problematiche delicate: si avrebbe lo strumento per capire se l’interlocutore è una persona affidabile o solo un venditore di tappeti. Poter distinguere chi cerca di dibattere realmente su un argomento e chi invece cerca di convincere con slogan o giochi di parole, i professionisti della supercazzola.

Il vero mestiere del matematico è quindi questo, un mestiere che, malgrado sia necessario, non esiste, almeno per ora.

C’era una volta il Totocalcio

C’era una volta il Totocalcio, 13 partite; ciascuna poteva vedere la vittoria della prima o della seconda squadra o il pareggio. Si dovevano mettere insieme una sequenza di 1, 2 e X per un totale di 1.594.323 combinazioni, di cui una vincente e 26 utili ad una vincita di seconda categoria.
Ma il Totocalcio non era solo questo; era la folla alle ricevitorie il sabato, erano le discussioni sui pronostici, le domeniche alla radio.schedina

E si giocava, si giocavano molti soldi anche perché all’epoca c’era il Totocalcio e il Lotto e non c’era altro. Credo che sia continuato così almeno fino agli anni ’90 del secolo scorso, poi hanno introdotto i centri scommesse, il Superenalotto, i Gratta e Vinci, una varietà enorme di modi di buttare i soldi. Variando e ampliando l’offerta si raggiungeva un pubblico più vasto, e quindi maggiori scommesse anche se distribuite in maniera più varia.
La conseguenza è stata la perdita della centralità del Totocalcio, minori scommesse, montepremi più basso e di conseguenza ulteriore perdita di interesse.
Da tredici poi i risultati da indovinare sono stati portati a 14, per un totale di 4.782.969 possibili combinazioni.

Trasversalmente a questa storia c’è la ricerca nella sistemistica, che aveva lo scopo di combinare nella maniera più efficiente i segni 1, 2 e X, le statistiche e lo sviluppo di software che dalla metà degli anni ’80 in avanti sfornavano schedine filtrando i sistemi integrali con logiche complesse ma solo fino ad un certo punto ragionevolmente efficaci.
Lasciando perdere quindi questa premessa, parliamo di probabilità di un evento. Il concetto di probabilità non è definito univocamente; si sceglie di volta in volta la definizione più adatta al contesto del problema. Tra le varie definizioni c’è ne è una alquanto spiazzante, dal momento che non sembra avere nessuna giustificazione matematica, ma che al contrario risulta molto apprezzata ed utile in diversi contesti.

La probabilità di un evento A viene definito a partire da come si scommette sull’evento:

P(A) :=la cifra che si è disposti a scommettere al fine di ottenere 1

cioè se gioco la ricompensa per la scommessa vinta (il payoff) è 1 euro la probabilità è la somma che si è disposti a puntare.
Nel caso del Totocalcio il payoff non è fisso, ma dipende da quanto e come hanno giocato tutti gli altri che hanno partecipato alla scommessa. Prendiamo come riferimento un gioco ideale in cui si può scommettere una quota c su un evento A o sul suo reciproco \bar{A}, tra gli n scommettitori h punteranno su A e k=n-h su \bar{A}. Possono accadere due cose:

  1. si verifica A: il montepremi che in totale vale n c viene diviso tra gli h vincitori a cui vanno delle quote di cn/h ciascuno, ai k perdenti non tocca nulla;
  2. si verifica \bar{A}, il montepremi si divide tra i k vincitori a cui vanno delle quote di cn/k.

Dalla definizione di probabilità, se p=P(A) allora se gioco una quota p e vinco ottengo 1, e quindi se gioco c p e vinco ottengo c; si conclude che se gioco c ottengo c/p.

D’altra parte abbiamo detto dalle regole del gioco, puntando una quota c in caso di vittoria ottengo cn/h. Ciò significa che c/p=cn/h e quindi p=h/n.

Si conclude quindi che in questo tipo di gioco, e più in generale nel gioco del Totocalcio, la probabilità di un evento, e in particolare la probabilità di ognuno dei segni è, in base alla definizione di probabilità che abbiamo dato, pari alla frequenza con cui tale segno è giocato!
Dal momento che sono disponibili sul sito della SISAL le statistiche sulle giocate in realtime, prima quindi che vangano chiuse le scommesse, è possibile avere una stima della probabilità di un risultato prima ed orientare il modo con cui si gioca.

Per quanto mi riguarda la cosa appare interessante anche se completamente inutile in quanto non gioco al Totocalcio né ad alcun altro tipo di scommesse.

I fantastici Alphabots

Non si può dire che viviamo in un epoca dove scarseggia la fantasia: ormai le case editrici che si occupano di collezionismo si inventano di tutto. In particolare la Edibas, che non si limita a produrre serie di successo ispirate a personaggi TV, ma inventa delle vere e proprie saghe di grande successo, come i classici Dragonix fino agli ultimi Alphabots, prodotti in varie versioni: “In The Darkness”, “Galaxy” fino alle ultime fantastiche “Fluo Metal”.

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Vengono vendute delle bustine al cui interno è presente un personaggio, per un totale di 36, la cui particolarità è di avere la forma di una lettera dell’alfabeto o di una cifra numerica.

All’occorrenza hanno la possibilità di trasformarsi mediante snodature personaggi “robotici”.
La De Agostini non è da meno e produce anch’essa serie di successo, come i recenti “Kamaleonti & co.”, una serie di 22 camaleonti che riproducono le fattezze di altrettante specie di camaleonti.
Non mancano per tutte queste serie un sito dove si può interagire con i personaggi trovati nelle bustine con giochi semplici tecnologia flash e schede su ciascun personaggio.
Insomma ogni giorno un vero spasso, ma a parte il divertimento poniamoci anche il quesito: è possibile completare queste collezioni? Quanto ci vuole per avere tutti i personaggi di una serie?
Per esempio, nel caso degli Alphabots, che in totale sono 36, quanti bustine dovrò comprare? Se si è estremamente fortunati si riesce a completare la collezione comprando appena 36 bustine (come vedremo bisogna essere veramente fortunati per riuscirci), ma non c’è limite al numero di bustine che si dovranno compare nel caso si sia sfortunati: 50? 100? 200? 2000? La risposta è che non esiste alcun limite, si potrebbe continuare indefinitamente a comprarne senza successo.

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Se l’uscita di uno qualunque dei personaggi ha la stessa probabilità degli altri, la probabilità per ciascuno di loro di uscire da un pacchetto è 1/36=2,8% (per la definizione classica c’è una probabilità favorevole su 36 totali). Esiste la possibilità abbastanza remota che escano 36 pacchetti diversi di fila e la sua probabilità è
1 \cdot \frac{35}{36} \cdot \frac{34}{36} \cdot \ldots \cdot \frac{1}{36} = 0,00000000000035 \%
si tratta di una eventualità sinceramente poco probabile, di conseguenza sarà alta la probabilità di dover comprare più bustine, quante però non è possibile saperlo, il numero di bustine da comprare per completare la serie dipende dal caso, è ciò che si chiama variabile casuale, ed è una quantità non valutabile a priori.

Ci possiamo però porre un problema più generico: quanto devo aspettare in media per avere tutti gli Alphabots: preso un gruppo di collezionisti che collezionano contemporaneamente questi personaggi qualcuno terminerà la sua collezione prima e qualcuno dopo, quanti ne acquisteranno in media? Se riusciamo a esprimere la probabilità della variabile casuale prima definita la sua media è data da una semplice formula matematica; ma andiamo per gradi.

In primo luogo risolviamo un quesito connesso, che intuitivamente ha una soluzione abbastanza immediata: quante bustine dovrà dovranno comprare in media prima che esca uno dei particolari personaggi, per esempio la A? La probabilità di uscita della A è identica a quella di qualunque altro personaggio e vale p=1/36. La probabilità che esca al primo tentativo è p_1=p mentre probabilità che non esca al primo tentativo è q_1=1-p.

La probabilità invece che esca al secondo tentativo è p_2 = q_1 \cdot p = (1-p) \cdot p , mentre la probabilità che non esca è q_2=q_1 \cdot (1-p) =(1-p)^2 e così via. In generale la probabilità che esca all’n-esimo tentativo corrisponde alla probabilità che non esca nei n-1 tentativi precedenti ed esca nell’n-esimo, cioè p_n = p \cdot q^{n-1}.

La media di una variabile casuale si calcola con la seguente formula
\sum_{n=1}^\infty {n\,p^n} = \sum_{n=1}^\infty { n\,p\,q^{n-1} } = p \sum_{n=1}^\infty { n\,q^{n-1} } = p \sum_{n=1}^\infty { \frac{d}{d q} q^n } = p \frac{d}{d q} \frac{1}{1 - q} = p \frac{1}{ (1 - q)^2}= \frac{1}{p}

In generale quindi il tempo medio di attesa per un elemento è dato dall’inverso della sua probabilità.
Ritorniamo al quesito iniziale: quanto tempo impiegheremo per ottenere tutti i gli Alphabots?
Con il primo acquisto otteniamo il primo Alphabots (T_1=1), quanti acquisti dobbiamo fare per ottenerne uno diverso dal primo? I casi favorevoli sono i 35 Alphabots rimanenti su 36 totali, la probabilità sarà p_2=35/36 e di conseguenza il tempo di attesa sarà T_2=36/35, in totale T_1+T_2=1+35/36.

In generale, se ho già collezionato n Alphabots distinti, la probabilità che al prossimo acquisto ne esca uno nuovo è p_{n+1}=\frac{36-n}{36}, e il suo tempo di attesa è T_{n+1}=\frac{36}{36-n}, per un tempo totale di T_1+T_2+...+T_{n+1}=1+\frac{36}{35}+\frac{36}{34}+...+\frac{36}{36-n}=\sum_{k=0}^n \frac{36}{36-k}=36 \sum_{k=0}^n \frac{1}{36-k}.
Per tutti e 36 i personaggi si dovrà aspettare in media: T_1+T_2+...+T_{36}=1+\frac{36}{35}+\frac{36}{34}+...+36=114,28. Ciò significa che per completare tutta la collezione di 36 elementi se ne dovranno comprare in media almeno 115.

Il problema è sbagliato ma nessuno ci crede

1.360.800.000_EURO-Sbagliato



Questo è un caso veramente interessante e significativo che circola da un bel po’ di tempo e lo ripropongo qui in forma di problema da scuola elementare per permettere una completa e universale comprensione.
Prendete il quaderno a quadretti e dividete la pagina in due parti: calcolo e svolgimento. Dal momento che abbiamo deciso di svolgere questo problema in forma elementare non sarà possibile usare la calcolatrice! Il problema si compone in due parti, la prima si può sintetizzare in questi termini:

                                          Problema
Se ogni parlamentare guadagna 25.000 euro al mese, quanto guadagneranno tutti i 945
parlamentari al mese? E quanto in un anno?
         Svolgimento               Calcolo                             

  25000 x 945 = 23625000          25000 x
                                                945 =
                                          ------------
                                            125000
                                          100000=
                                        225000=
                                      ------------
                                        23625000

  23625000 x 12 = 283500000     23625000 x
                                                      12 =
                                              ------------
                                              47250000
                                            23625000=
                                            ------------
                                            283500000

                                    Risposta
I parlamentari guadagnano 23625000 euro al mese, cioè 283500000 euro l'anno.

In una anno, senza alcun dubbio i parlamentari guadagnano 283,5 milioni di euro.
Leggiamo invece che riucendo le spese per i parlamentari si risparmierebbero 1.380,8 milioni: cioè, bho? Come posso spiegare…, anzi la cosa non si può spiegare: è come se dicessi che se spendo 1 posso risparmare 5!
È chiaro che c’è qualcosa che non va, ma cosa? Il calcolo è quello, e allora come è possibile? Io non ho alcuna risposta al riguardo, posso solo fare i calcolo. A questo punto facciamo anche il secondo punto del problema.

                                          Problema
Se ogni parlamentare guadagna 10.000 euro al mese, quanto guadagneranno tutti i 945
parlamentari al mese? E quanto in un anno?
         Svolgimento               Calcolo                             

  10000 x 945 = 9450000             10000 x
                                                  945 =
                                            ------------
                                               50000
                                             40000=
                                            90000=
                                           ------------
                                            9450000

  9450000 x 12 = 113400000        9450000 x                
                                                      12 =
                                              ------------
                                              18900000
                                              9450000=
                                              ------------
                                             113400000

                                               Risposta
I parlamentari guadagnano 9450000 euro al mese, cioè 113400000 euro l'anno.

Ecco l’errore: 113.400.000 non è il risparmio mensile, ma la spesa annua, che tra l’altro è già stato moltiplicato per 12, e che adesso (erroneamente) moltiplicato nuovamente per 12 fa appunto 1.360,8 milioni. Questa cifra rappresenta la spesa per i deputati nel corso di dodici anni, nel caso guadagnassero 10.000 euro mensili, e non il risparmio annuale.
Il risparmio in realtà è 283,5 – 113,4 = 170,1 milioni.
Tra 1.360,8 milioni e 170,1 milioni c’è una bella differenza! Chi ha pubblicato quei calcoli ha sbagliato, e fin qui non c’è niente di male: un problema si può anche sbagliare.
Questo messaggio circola già da tempo, e mi è capitato di segnalare l’errore, ma dalle risposte che ottengo è di sottovalutazione dell’importanza di un risultato corretto. Ovviamente io non condivido: quanti soldi servirebbero per risanare lo Stato? A cosa servirebbere ridurre le spese per il parlamento? Va bene risparmiare, ma questa proposta equivale a consigliare ad un malato che avrebbe bisogno di essere operato di lavarsi la faccia. Ovviamente lavarsi è giusto, ma in casi gravi servirebbe un’idea effettivamente utile.
Eppure l’idea di risolvere tutto con una serie di iniziative infondate sembra avere un certo seguito negli ultimi tempi. Non mi riferisco semplicemente a questo problema sbagliato, ma a tutte e ideologie che si basano molto su stereotipi e chiacchiere e poco su calcolo e razionalità. Su questa linea si trovano le ideologie che hanno le loro fondamenta in una suddivisione della popolazione in due categorie: i “noi” e i “loro”. I “noi” sono quelli buoni e i “loro” i responsabili di tutti i problemi, in poche parole sono i cattivi.
Non è un’idea recente, in effetti è storia vecchia, già vissuta e ben nota, e che riesce ancora a fare la fortuna politica dei gruppi e persone che si fanno portatori di un tale modo di ragionare.
Il motivo di tanto successo è la possibilità per chi abbraccia questa ideologia di una completa autoassoluzione: le colpe e i problemi sono sempre altrove, negli altri, i “loro”. I “noi” non hanno nessuna responsabilità sono sempre le vittime, quelli che subiscono.
Invece io sono dell’idea che quando le cose vanno male bisogna fare in primo luogo autocritica, capire in cosa si è sbagliato. Non vi piacciono i politici? Ma siamo noi che li abbiamo votati, li abbiamo voluti, ci è convenuto scegliere loro e non altro per un motivo o un altro e adesso siamo di fornite ad una degenerazione della politica: ebbene, è colpa nostra, perché i “noi” e i “loro” in realtà sono la stessa cosa, sono uno l’immagine speculare dell’altro, e nessuno dei due ha modo di esistere senza l’altro.